Intorno alla metà del Settecento nei "Salti di Giosso", che erano luoghi dove si mandava al pascolo il bestiame liberamente, si cacciava, si raccoglievano frutti spontanei e ci si riforniva di legna, si insediarono pastori provenienti da Buddusò. Le loro dimore originarie erano capanne chiamate "barraka" o "pinnetta", di forma conica o tronco-conica, realizzate con muro a secco di pietra sul quale era fissata la copertura di legno e frasche, che assicurava una buona resistenza all'acqua.
Le prime case furono costruite tra fine '700 e inizio '800, senza fondazioni, a un solo piano, con muri di pietra irregolare reperita in loco; come legante era usato un impasto di terra nera e acqua detto "ludu": in pratica si trattava di pietra non lavorata e fango, ossia "preda iscapula e ludu", che è la tecnica più arcaica individuata.
Altra modalità costruttiva dei muri di pietra comportava l'utilizzo di conci di granito appena sbozzati, legati con argilla. Quando la costruzione era isolata e non dovevano dunque appoggiarvisi altri edifici, gli spigoli erano realizzati con blocchi di granito più grossi e squadrati, per maggiore stabilità della costruzione; se invece si prevedeva la realizzazione di case adiacenti, la facciata terminava con cantoni sporgenti, per "legare" meglio il blocco successivo.
Le costruzioni più antiche sopravvissute nella zona sono riconoscibili perché realizzate con pietre irregolari, senza legante, si tratta dei muri a secco. Il tetto era a due falde spioventi; la struttura portante, di legno, era costituita da travi principali con trave di colmo "sa trae' e mesu" e travetti "currentes"; tra i "currentes" si legavano o inchiodavano traversine "currenteddhos" oppure canne ben ripulite "incannucciata". Il manto di copertura di coppi era posato a calce.
Nei pressi del "cantiere" venivano preparate le tegole di terracotta: la terra nerastra e argillosa, abbondante in loco, era impastata con acqua, composta in appositi stampi e successivamente cotta su larghe cataste di legna.
Il pavimento era costituito da un impasto di argilla steso con spessore consistente su sottofondo di ghiaia e sabbione.
Le famiglie vivevano spesso in una stanza, tuttavia non mancano cellule abitative di due stanze, una usata come ingresso e cucina, con una porta, l'altra usata come zona letto, con una finestra. I serramenti in genere erano di legno, specie ginepro, e realizzati in loco; "sa janna" la porta, era sempre a due ante, con una piccola finestrella, e semplice chiusura a gancio. Sulla facciata di ogni casa veniva conficcato un grosso gancio, "sa loriga", per legare il bestiame. Ad altezza d'uomo, inoltre, sporgeva una pietra liscia che serviva da momentaneo appoggio a recipienti vari.
Lungo le facciate degli edifici erano collocate pietre basse e lunghe con funzione di sedili, dove la gente si intratteneva nelle calde sere d'estate per prendere il fresco "a su friscu". Durante l'inverno invece, tutti si riunivano intorno al focolare; il camino era in genere, negli edifici più vecchi, al centro della parete, con pregevoli architravi di granito, di altra pietra locale o di ginepro. In taluni casi si trovano ancora particolari gronde composte da pietre piatte e lisce, di forma regolare.
E' interessante la soluzione adottata relativa alla costruzione di una pedana intorno al camino con funzione di seduta, dove giovani vecchi e piccini si intrattenevano raccontando storie alla luce del focolare. Oltre alle costruzioni di un solo piano finora descritte, la cui altezza era determinata dal fatto che i costruttori non usavano ponteggi, per cui quando non riuscivano più a posare le pietre per la muratura, proseguivano col tetto, esistevano anche edifici con piano terreno e piano primo. I due livelli erano collegati con scale di legno di ginepro o di granito, delle quali è rimasto qualche esempio. Per queste realizzazioni era necessaria una manovalanza più specializzata di quella reperibile in loco, infatti i muratori provenivano da Buddusò o da Alà Dei Sardi